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L’autismo è un disturbo del neurosviluppo caratterizzato da una compromissione qualitativa della comunicazione e dell’interazione sociale e dalla presenza di pattern  comportamentali atipici,  interessi  ed attività ristretti, ripetitivi e stereotipati.


Le manifestazioni del disturbo variano molto anche in base al livello di gravità della condizione, al livello di sviluppo e all’età cronologica; da qui il termine Spettro.

Secondo il DSM V (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) è possibile diagnosticare il disturbo dello spettro autistico specificandone il livello di gravità, espresso in una scala da 1 a 3 in base a: livello di assistenza richiesta, abilità di comunicazione sociale e presenza di comportamenti ripetitivi e interessi ristretti. 


L’esordio dell’autismo può essere di due tipi: il primo, ad esordio precoce, è già evidente tra i 3 e i 9 mesi di vita; nel secondo, di tipo regressivo, i segni di autismo non compaiono fino a dopo il primo compleanno, più spesso tra i 18 e i 24 mesi di vita. In questo secondo caso i bambini hanno un apparente sviluppo normale durante il primo anno di vita seguito da una più o meno improvvisa perdita di competenze.

Quando l’autismo è ad esordio precoce, il bambino non sviluppa la progressiva vivacità e modulazione degli stati affettivi ma può mostrare indifferenza, apatia, mancanza di iniziativa e di scambi interattivi prolungati; spesso inoltre non compaiono la risposta al nome e il pointing (gesto dell’indicare). Quando l’autismo è di tipo regressivo, dopo un periodo libero da espressioni atipiche dello sviluppo, vi è un arresto, talvolta drammatico, che interessa la reazione agli stimoli ambientali, lo sviluppo di gesti comunicativi, l’interesse verso le persone, il monitoraggio dello sguardo, lo sviluppo emozionale e la progressione del linguaggio espressivo (“Buone prassi per l’autismo”; CNOP, 2020).

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Le cause certe dell'autismo ad oggi non sono state ancora identificate; la comunità scientifica internazionale propende per un’origine multifattoriale, in cui le alterazioni genetiche avrebbero un ruolo principale,

Secondo i dati epidemiologici del Ministero Della Salute, attualmente in Italia 1 bambino su 77 ha l’autismo. Il trattamento dell'autismo oggi non può contare su cure risolutive.

Interventi mirati psicoeducativi portano ad ottenere miglioramenti sostanziali. La grande eterogeneità sintomatologica dell’autismo impone la necessità di un trattamento individualizzato, con la messa in atto di uno spettro di interventi, cuciti sul profilo di funzionamento di ciascun soggetto. Ad oggi l’approccio al trattamento mira ad un’integrazione dei diversi modelli, in particolar modo quello evolutivo e comportamentale. A tali approcci fanno riferimento i più conosciuti modelli di intervento quali l’Early Start Denver Model (Rogers & Dawson, 2010); il Loovas Autism Project (Loovas, 1987; 1990) che utilizza il Discrete Trial Training (DTT), i cosiddetti interventi comportamentali di “seconda generazione” (Moderato, 2010b), quali il Verbal Behavior Teaching, il Natural Language Paradigm, il Natural Enviroment Teaching e Incidental Teaching.  L’insieme di questi approcci trovano una pratica integrazione nell’ Analisi Applicata del Comportamento (Applied Behavior Analysis -ABA).

Va detto che questa distinzione teorica tra approccio comportamentale e approccio evolutivo non è mai stata netta, e già da tempo programmi come il TEACCH o modelli di trattamento come quelli italiani di  Xiaz e Micheli (2001), propongono interventi con elementi di entrambi gli approcci.

Allo stato attuale della ricerca l’intervento di elezione è quello integrato a casa, a scuola e nella comunità (National Research Council, 2001). L’intervento psico-educativo va quindi considerato come elemento essenziale del trattamento nel caso delle persone con autismo.

Le Linea Guida 21, “Il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti” (2011) contengono una serie di raccomandazioni, la prima delle quali riguarda i programmi di intervento mediati dai genitori. Parlare di questo tipo di intervento sottolinea l’importanza di figure di riferimento relazionali, affettive ed educative come i genitori e gli insegnanti per i quali dovrebbe essere prevista una specifica formazione (parent and teacher training).

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